Segnalazioni

Un Perugino in meno e un Sassoferrato in più

Pubblicato il da fondazione arte
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Giambattista Salvi, detto Il Sassoferrato dal paese di provenienza dove nacque nel 1609, sarebbe ben lieto di sapere che per 350 anni una sua dolcissima Madonna sia stata attribuita direttamente al Perugino, pittore che lui copiò (ma non in questo caso) e che ammirava massimamente, assieme a Raffello e Domenichino.

 

 

Non temeva il Sassoferrato di eseguire copie e opere in stile ‘raffaellita’, non era ossessionato dal demone, anch’esso barocco, dell’invenzione e dell’estro personale e tantomeno dalla sprezzatura tecnica.
Eseguiva repliche anche dalle sue pacate invenzioni e le sue Madonne, spesso di piccolo formato, appaiono numerose e lo storico si affanna a cercarne il prototipo, sforzo che egli non avrebbe forse apprezzato, visto che per lui la migliore non era la prima ma solo quella più ben eseguita. La sua tecnica pittorica è inconfondibile, i colori adottati e inventati sono la sua firma assieme a una stesura piana, precisa e pacata, che mai esibisce il travaglio tecnico, mentre il suo pennello non lascia traccia. Ma le ombre e i volumi resi con ossessiva cura e con osservazioni luministiche tutte seicentesche ne fanno, al contrario, come reazione, un maestro dello sguardo barocco, inteso come ripiegamento ostinato al revival rinascimentale e alla ragionata resa della forma e del colore fuori dalle temperie storiche del suo tempo, ma dentro l’eterno stupore per i maestri immortali del primo ‘500, unici modelli per lui degni di imitazione e di ossequio. Anche la meraviglia di saper annullare il tempo lungo che lo stacca da Perugino e Raffaello e’ un sentimento barocco perché spiazzante e critico…

 

E’ copia? Replica? Falso, autentico, autografo? Queste categorie critiche non hanno importanza per il pittore Sassoferrato: l’opera di per sé è eterna e atemporale, vicina e lontana, spaesante come un enigma attraente e problematica. Tutto questo è ‘barocco’: sorpresa e vertigine.

 

La cosiddetta ‘Madonna del velo’ (ma chissà se il velo è autografo) è così popolarmente intitolata per darle un connotato in più, che invade la sua lontana e distaccata meditazione. Proviene da Bellagra e rappresenta, assieme all’improbabile Michelangelo e al discusso Caravaggio, l’opera più rappresentativa del Museo Diocesano di Palestrina, tanto da figurare come la protagonista nei depliants informativi del recentemente restaurato museo. La Vergine Annunciata, è questo il vero soggetto, è aureolata e illuminata dall’alto ed emergente dal buio, e la luce e le ombre, specialmente
tra le bellissime mani, creano un gioco atmosferico e una terza dimensione che solo il virtuosismo e il mestiere del Sassoferrato potevano realizzare. Il rosa salmone, abbinato al verde muschio e al bianco, oltre a rappresentare le tre Virtù Teologali sono, sia nella combinazione sia nella specifica tonalità, la ‘firma’ del pittore.

 

Il gesto con le mani incrociate di Maria, con i capelli biondi acconciati a esibire il candido collo, è attributo della speranza e infatti esse si posano sul verde manto. Mezzo sole stellare, la fede è ricamata in oro sul rosso busto, di fattura, quella si, quattrocentesca e l’azzurro notte del manto copre le spalle della Vergine.

 

Se si dovesse cercare non il modello peruginesco, ma un’idea coloristica e formale, indicherei la Madonna dell’Adorazione dei Magi della Pinacoteca di Perugia (fig. 2), ma la distanza temporale e tecnica dall’Annunciata di Palestrina non ci permette un così breve tragitto: in mezzo vi passano Raffaello, Domenichino e Guido Reni, ma anche Orazio Gentileschi ed il Barocci prima di approdare a lui, al Sassoferrato, che la dipinse verso il 1660 a Roma, e proseguire la sua fortuna poi sino a Ingres e ai Nazareni.

 

L’olio su tela, da pulire e forse ‘svelare’, misura circa cm. 70×50 centimetri e sta di fronte al potente e macabro San Gennaro Vescovo di stretta influenza caravaggesca: questo non ha padre certo, ma la Madonna direi di si, anche se nessuno tra gli specialisti che sappiamo essere venuti per vedere il suo compagno di stanza l’ha degnata di uno sguardo onesto e fiero, come il bravo Sassoferrato meritava. Guerrino Lovato, Venezia , 4 Agosto 2014