Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria, Cappella dei Priori. 3 luglio – 12 settembre 2010.
L’individuazione di quattro tavolette inedite riferibili alla mano del Perugino ha offerto lo spunto per organizzare una mostra nella Cappella dei Priori della Galleria Nazionale dell’Umbria.
“Membrum principale palatii”, spazio privilegiato della residenza priorale perugina, la Cappella era il luogo in cui i decemviri si riunivano nel corso del loro mandato amministrativo. Nella Cappella si pregava, ma soprattutto si deliberava, si prendevano decisioni per le sorti della città. Seduti sui preziosi scranni intagliati tra il 1452 e il 1466 da Paolino da Ascoli e Gaspare da Foligno, i dieci magistrati avevano sulle loro teste il magnifico ciclo di affreschi realizzato da Benedetto Bonfigli tra il 1455 e il 1479. Sull’altare si trovava la celebre pala dei Decemviri eseguita da Perugino intorno al 1495.
La pala, rimossa dal delegato apostolico (che al suo posto fece realizzare l’affresco tuttora visibile dietro l’altare) e trasferita al primo piano del palazzo, nel 1789 fu requisita dai francesi e portata a Parigi.
A Perugia restò la cornice originale e la cimasa raffigurante il Vir doloris. Tornata in Italia dopo il crollo dell’impero napoleonico, venne purtroppo destinata ai Musei Vaticani. Domenico Garbi ne realizzò una copia. Ciò consentì ai priori di ricomporre l’insieme, che nel 1835 fu nuovamente smembrato. La cornice andò a “vestire” la cosiddetta Madonna degli Alberelli di Eusebio da San Giorgio, la cimasa divenne un quadro a sé stante e la copia di Garbi fu ricoverata nei depositi.
Il tutto fu ricomposto nel 2004, in occasione della mostra sul Perugino. Ma, a mostra conclusa, le cose tornarono come prima. Oggi la direzione della Galleria Nazionale dell’Umbria ha deciso di ricollocare nella Cappella la pala ricomposta. La presentazione, proprio nella Cappella, delle quattro tavolette inedite vuole sottolineare l’importanza di questa scelta; scelta che si configura non solo come restitutio in pristinum di una situazione modificata nel tempo, ma anche come ricordo della dolorosa spoliazione subita dal patrimonio artistico perugino durante l’occupazione napoleonica.
Appartenenti a un collezionista privato, le quattro tavolette, provenienti in tutta evidenza da un contesto smembrato, appartengono al segmento estremo della produzione del Vannucci; quando l’artista raggiunse effetti di morbidezza pittorica tali da giustificare l’ammirato giudizio espresso da Paolo Giovio sull’ incredibile “dolcezza” della sua arte. Tutt’altro che inesausto o fiaccamente ripetitivo, il mondo poetico del “divin pittore” si alimenta, nella fase crepuscolare, di una “sincera commozione, che è in queste cose estreme – per dirla con Pietro Scarpellini – la garanzia della vera qualità”.