Recensioni

Tiziano a Roma, fra luci e ombre.

Pubblicato il da fondazione arte
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Recensire la mostra monografica su Tiziano in corso alle Scuderie del Quirinale è un compito allo stesso tempo molto facile e molto difficile. Luci e ombre vi coesistono, infatti, con altrettanta intensità: ma se le prime risultano con maggiore immediatezza nel corso della visita, le seconde non tardano comunque a farsi strada ad una riflessione appena meno epidermica.

 

Per fare un po’ di chiarezza su un terreno spesso nebuloso, direi in sintesi che un’esposizione di arte antica, per come la vedo io, dovrebbe essere valutata criticamente sulla base di due parametri principali (seppur non esclusivi): 1) qualità, quantità e interesse dei pezzi esposti in funzione del progetto espositivo e dei presupposti storico-critici che la sostengono; 2) efficacia della sua azione in senso lato didattica, dipendente dalla logica e chiarezza nell’articolazione del percorso di visita, ma soprattutto dagli apparati informativi messi a disposizione dei visitatori: dai pannelli ai cartellini delle opere, dai supporti cartacei (depliant, opuscoli, catalogo) ai video, dalle audioguide sino eventualmente alle applicazioni per smartphone e tablet.
Innanzitutto diamo una stenografica descrizione di quello che il visitatore trova all’interno della mostra. Essa consiste di 39 dipinti più un mosaico raffigurante Pietro Bembo, eseguito da Valerio Zuccato nel 1542 con ogni probabilità su disegno dell’amico Tiziano. Tutti i dipinti sono esposti come sicuri autografi tizianeschi, tranne due che vengono riferiti alla sua bottega. La gran parte delle opere selezionate sono di alto livello, con alcuni capolavori assoluti e talune presenze che rendono piuttosto speciale l’esperienza della visita anche sotto il profilo dell’impatto emotivo e spettacolare (penso in primo luogo alle pale d’altare, per quanto ovviamente la loro presenza in una mostra presti il fianco a una serie di obiezioni conservative e museologiche tutt’altro che capziose).Per essere meno vaghi, direi che rientrano appieno nella classe dei “capolavori di Tiziano”, in ordine cronologico, la Flora degli Uffizila Pala Gozzi della Pinacoteca di Anconal’Uomo col guanto del Louvreil Ritratto di Ranuccio Farnese della National Gallery di Washingtonil Ritratto di Paolo III senza camauro e la Danae di Capodimonteil Martirio di San Lorenzo della chiesa veneziana dei Gesuitila Deposizione di Cristo nel sepolcro del PradogliAutoritratti della Gemäldegalerie di Berlino e del Prado e lo Scorticamento di Marsia di Kromeriz, per un ammontare rispettabilissimo di 11 pezzi.
04_La_bella_UffiziSubito dopo queste merita di essere collocata ai vertici della produzione di Tiziano perlomeno un’altra decina di opere: ilBattesimo di Cristo della Capitolinala SalomèDoria Pamphilj, la Madonna con Bambino e santidella Fondazione Magnani Rocca, il cosiddetto Tommaso Mosti di Palazzo Pitti, il Ritratto di Carlo V con il cane del Prado, la cosiddetta Bella della Galleria Palatina, ilBenedetto Varchi del Kunsthistorisches Museum, il Doge Francesco Venier del Museo Thyssen, le due Crocifissionidell’Escorial e della chiesa di S. Domenico ad Ancona, el’Annunciazione di San Salvador a Venezia. Ma in effetti quasi tutti gli altri dipinti presenti sono di rango, per cui direi che dal punto di vista della qualità di ciò che si vede i conti tornano senz’altro.In un senso molto minimale, registrato ciò, una recensione potrebbe già dire esaurito il suo compito: cosa c’è da aggiungere, in effetti, all’equazione, qui apparentemente risolta, grande artista + opere di alta qualità + sede bella e prestigiosa + allestimento sobrio ed efficace, illuminazione appropriata, strumenti didattici dislocati piuttosto capillarmente? Qualcosina, in effetti, forse c’è, e a guardare in modo appena più approfondito qualche crepa finisce per emergere.15_Cristo_portacrocePer cominciare, su almeno tre opere riferite alla fase giovanile del maestro la letteratura registra una certa discordanza di pareri: si tratta dell’Orfeo e Euridice dell’Accademia Carrara di Bergamo (di attribuzione non pacifica), del Concerto della Galleria Palatina di Firenze e delCristo portacroce della veneziana Scuola di San Rocco, (peraltro notoriamente sciupatissimo, come viene ribadito senza mezzi termini nella scheda di catalogo in cui si parla di “drammatico stato conservativo”: ma allora perché portarlo in mostra?), riguardo ai quali a tutt’oggi gli studiosi restano divisi fra Giorgione e Tiziano (per quanto prevalga ormai il riferimento a quest’ultimo). Qualche più contenuto dubbio di natura attributiva, comunque ben testimoniato negli studi, in realtà sussiste anche in riferimento alla Madonna con Bambino pure della Carrara; così come negli ultimi anni qualche perplessità (imprudente, con ogni probabilità, ma non immeritevole di considerazione) circa il riferimento pieno al maestro cadorino si è fatta strada anche a proposito della pur celeberrima Allegoria del Tempo della National Gallery di Londra ; e, infine, mi permetto anche di aggiungere che forse non sarebbe così improprio sollecitare un dibattito sgombro da riflessi condizionati relativamente alla piena pertinenza tizianesca del notevole Ritratto di Giulio Romano, oggi conservato nel Museo Civico di Palazzo Te a Mantova.
Piccole cose, si dirà: si tratta pur sempre di dipinti di qualità, importanti e comunque, fino a prova contraria, stilisticamente congrui. D’altro canto, se si costruisce una mostra monografica celebrativa, in uno spazio sotto ogni rispetto “istituzionale” come le Scuderie del Quirinale, su un artista di fama universale, studiatissimo, presente in tutti i principali musei del globo con rappresentanze talora ricchissime (si pensi solo ai nuclei tizianeschi di Prado, Kunsthistorisches, Louvre, National Gallery di Londra, ma anche Uffizi, Pitti, Capodimonte), al quale negli ultimi decenni è stato dedicato un numero imprecisato di eventi espositivi di ogni genere e taglio, essendo mossi dall’intento quasi esclusivo di dare adeguata illustrazione al meglio dell’intera sua sterminata produzione, ammesso che 39 sia il numero di opere adeguato all’impresa (e per conto mio può ben esserlo, anche se non corrisponde alla mistica pubblicitaria della “grande mostra”), ebbene direi che sarebbe opportuno che quei 39 dipinti fossero autografi indiscussi, di rango altissimo e adeguatamente suddivisi fra tutti i principali generi in cui si è espresso il pittore.
08_Allegoria_della_PrudenzaSe tale riflessione ha un senso, non si capisce bene cosa ci stiano a fare due dipinti opportunamente assegnati alla bottega (se fosse per dar conto della questione dell’ateliertizianesco, oggi più viva che mai negli studi specialistici, due sarebbero troppo pochi e quei due non parrebbero comunque granché rappresentativi) e tutto sommato nemmeno perché, su uncorpus di non meno di 250 opere (a tenersi bassi), ne siano state selezionate 3 o 4 sulle quali sussiste qualche ragionevole margine di dubbio (di cui si trova traccia solo nelle schede di catalogo) e che comunque non costituiscono capolavori insostituibili.07_Autoritratto_MadridNell’organizzazione del percorso di visita, dopo l’ouverturedella prima sala in cui si confrontano solo il più tardoAutoritratto del Prado e il grandioso Martirio di San Lorenzo veneziano, è stato scelto un criterio misto tematico-cronologico inteso con una certa elasticità, soprattutto nel piano inferiore riservato alle opere di soggetto sacro, dove convivono nelle stesse sale pale d’altare e opere di destinazione pubblica con dipinti di devozione privata e perfino con l’Orfeo e Euridicedella Carrara.Salome_Galleria_Doria_Pamphilj(1)Più coerente l’allestimento del piano superiore, con le prime sale riservate all’incirca al grande capitolo della ritrattistica, ottimamente campionato nonostante alcune presenze piuttosto incongrue, come la SalomèDoria Pamphilj e la Flora degli Uffizi (che sarebbero state meglio indirizzate, rispettivamente, agli spazi dedicati alle opere di soggetto religioso e alla penultima sala) le quali, assai discutibilmente e con sforzo degno di miglior causa, vengono accreditate dai pannelli di sala e dal fascicoletto di accompagnamento alla mostra, distribuito gratuitamente a tutti i visitatori, come ritratti, prototipi dell’ideale galleria tizianesca di Belle veneziane (“Due bellissime fanciulle, bionde, l’incarnato morbido e palpitante, gli sguardi languidi e allusivi”, si legge sull’opuscolo. E vorrei formulare l’auspicio che tale prosa profumata, di traduzione bellettristica di ciò che si vede, così tipica del lessico storico-artistico ad ogni livello, prima o poi semplicemente sparisca, a maggior ragione dalla letteratura destinata al “grande pubblico”). Le ultime due sale si concentrano invece sul comparto, di non minore momento da alcun punto di vista e forse di maggiore attrattiva e accessibilità per l’appassionato di oggi, della produzione mitologico-allegorica: ma decisamente in modo troppo sparuto e a macchia di leopardo per potersi considerare realmente rappresentativo.Danae_Napoli_Capodimonte(1)È questo senza dubbio il settore del catalogo tizianesco in cui l’intento equilibratamente panoramico perseguito dal curatore mostra maggiormente la corda, non senza nocumento, direi, per l’immagine generale che viene restituita del pittore e davvero impallidendo rispetto a quanto è stato possibile vedere nel terreno della sua produzione profana praticamente in tutte le principali mostre degli ultimi decenni: da Tiziano (Venezia, 1990) a Le siécle de Titien (Parigi, 1993), da Titian (Londra, 2003; dove, tanto per dire, era stato ricomposto l’intero nucleo tizianesco del Camerino di Alfonso d’Este, compreso il Festino degli Dei di Giovanni Bellini) a Tiziano (Madrid, 2003; seconda tappa, con notevoli aggiunte e cambiamenti, dell’esposizione londinese), da L’ultimo Tiziano (Venezia, 2008) sino alle due redazioni, fra loro ben distinte, della mostra Tiziano, Tintoretto, Veronese. Rivalità a Venezia (Boston e Parigi, 2009-2010).01_PaoloIIIAccenno solo, in conclusione, a due ulteriori questioni, legate alla provenienza delle opere e alla loro recente storia espositiva. Dei 39 dipinti in mostra, 25 (dunque poco meno di 2/3) provengono da sedi pubbliche italiane, tutte agevolmente visitabili. Di questi 25 dipinti, 15 sono conservati nei seguenti musei: Uffizi e Palazzo Pitti a Firenze, Pinacoteca Capitolina, Galleria Borghese, Galleria Doria Pamphilj, Pinacoteca Vaticana a Roma, Capodimonte a Napoli, Gallerie dell’Accademia a Venezia, Galleria Nazionale a Urbino e Pinacoteca Nazionale a Bologna. Si andrà lontano dal vero ipotizzando che almeno 6 o 7 visitatori della mostra su 10 abbiano dimestichezza con questi musei e dunque con quei dipinti?
Autoritratto_Berlino_GemaldegalerieSe poi aggiungiamo che gli altri 10 dipinti “italiani” provengono da due chiese e dalla Scuola di San Rocco a Venezia, dall’Accademia Carrara di Bergamo, da una chiesa e dalla Pinacoteca Podesti di Ancona, dalla Fondazione Magnani Rocca presso Parma, da Palazzo Te a Mantova, e ancora che la maggior parte dei dipinti in mostra alle Scuderie è stata esposta in almeno un paio di mostre di argomento affine che si sono succedute negli ultimi trent’anni (compresi alcuni che hanno letteralmente girato come trottole, come il San Giovanni Battista nel deserto dell’Accademia o il Ritratto di Paolo III di Capodimonte, o i due Autoritratti di Berlino e Madrid) ce n’è abbastanza per concludere che il turista medio appassionato di pittura antica i dipinti oggi in mostra a Roma li ha praticamente già visti tutti (o quasi), e che la selezione operata dagli organizzatori è stata davvero un po’ troppo convenzionale. Capisco bene che non sono questi i tempi per largheggiare con prestiti fuori area non indispensabili: però farsi guidare da un po’ più di originalità e curiosità avrebbe certamente regalato alla mostra un appeal e un interesse scientifico maggiori.
13_Seppellimento_CristoAnche il catalogo (Silvana Editoriale) offre poche sorprese, limitandosi a premettere una piuttosto succinta introduzione, ognuna affidata a uno specialista diverso, a ciascuno dei blocchi cronologici in cui, diversamente da quanto accade in mostra, sono suddivise le opere, per poi abbondare nelle schede di catalogo, sin troppo impegnate a sintetizzare la letteratura critica (spesso rendendo conto di decine di interventi a partire dalla fine del XIX secolo, né tutti così importanti né, credo, granché interessanti per il visitatore medio) e sulle questioni legate alla cronologia delle opere. Un catalogo un po’ troppo dimesso dal punto di vista critico, vorrei chiosare, per accompagnare una mostra così ambiziosa.In conclusione, direi che l’esposizione romana ha il merito di illustrare adeguatamente molte virtù del sommo pittore, ma manca percepibilmente di una sua profonda ragion d’essere critica, o almeno di una vitale tensione narrativa, di un’anima progettuale, insomma, che non si risolva nella semplice messa in sequenza di un gruppo di bellissimi dipinti eseguiti 500 anni fa: col risultato di far apparire Tiziano Vecellio, più che la dinamo inesausta che ha alimentato generosamente tanta grande arte dei secoli successivi (da Rubens all’ultimo Monet, passando per Rembrandt e Velazquez, Turner e Delacroix: e chi più ne ha, più ne metta), un eccellente pittore molto lontano da noi.
Luca Bortolotti, News Art 05/04/2013