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MELOZZO. L’umana bellezza tra Piero della Francesca e Raffaello

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Con questa esposizione, la città di Forlì intende celebrare il suo artista più famoso, raccogliendo per laprima volta la gran parte delle sue opere mobili. Se già in passato (nel 1938 e nel 1994) Melozzo è stato oggetto di importanti esposizioni, non si è tuttavia mai potuto presentare un numero importante di opere superstiti, né si era condotta una riflessione sul ruolo centrale svolto dall’artista forlivese nella vicenda del Rinascimento italiano, preferendo studiarne la personalità nel contesto romagnolo.

Già ricordato come pittore in un documento del 1461, Melozzo degli Ambrogi (1438-1494) si era ben presto allontanato da Forlì per attingere ai centri più vitali del Rinascimento, da Padova a Urbino, a Roma, dove sarebbe divenuto l’artista di punta negli anni dei pontificati di Pio II e Sisto IV, fino a meritarsi il titolo di Pictor papalis.

La conoscenza di Mantegna e soprattutto di Piero della Francesca lo aveva portato ad aderire alle nuove certezze della prospettiva matematica, salvo poi intraprendere, a partire dal colossale affresco nell’abside della chiesa dei Santi Apostoli a Roma (1472-1474), una personale ricerca sulla bellezza della figura umana, in grado non solo di possedere lo spazio entro cui si colloca, ma di imporsi come canone di una perfezione formale su tutto il creato. Su questa base si è potuto di recente affermare che “senza Melozzo difficilmente si spiegherebbe Raffaello” (Antonio Paolucci). Ed è appunto entro questa linea di immensa portata per l’arte moderna che la mostra intende studiare la figura di Melozzo, restituendola alla sua dimensione più autentica e innovante. Da un lato la misura matematica dello spazio pittorico di Piero della Francesca e dall’altro la bellezza ideale di Raffaello, quale punto d’arrivo di una ricerca alla quale Melozzo seppe dare un contributo del tutto originale, umanizzando la sublime astrazione di Piero e cercando una lingua comune tra le scuole artistiche italiane.

Per documentare lo straordinario percorso compiuto dall’artista forlivese, la mostra affianca alle sue opere capolavori degli artisti con cui venne in contatto nel corso della sua formazione, da Andrea Mantegna a Piero della Francesca, a Bramante e a Pedro Berruguete, questi ultimi conosciuti a Urbino. Ne segue poi l’attività a Roma, dapprima ai Santi Apostoli e poi nella Biblioteca Vaticana (Sisto IV nomina il Platina Prefetto della biblioteca, 1475), affiancandole le opere degli artisti con cui venne in contatto nella città dei papi, da Beato Angelico a Mino da Fiesole a Bartolomeo della Gatta e ad Antoniazzo Romano. A Roma, Melozzo si trovò altresì impegnato nella riproduzione di immagini sacre di antica devozione, il cui studio si riflette nel Salvatore della Galleria Nazionale di Urbino e nel San Marco dell’omonima chiesa romana. Nello stesso tempo, forte dell’appoggio della famiglia Riario, seppe dar voce alle ambizioni culturali della corte pontificia, che richiamava in quegli anni artisti da tutta Italia, tra i quali Domenico Ghirlandaio, Pietro Perugino, Alessandro Botticelli. Di costoro sono presentate in mostra importanti testimonianze. Così come viene documentato, attraverso arredi, paramenti liturgici e codici miniati, lo sfarzo straordinario dell’arte papale.

Dopo i lavori nella sagrestia di San Marco a Loreto (1484-1493), lasciata inspiegabilmente incompiuta, Melozzo fece ritorno a Forlì, dove lavorò nella cappella Feo in San Biagio, purtroppo distrutta dall’ultima guerra. Daniele Benati

Cuore della mostra sarà il grande affresco staccato di Melozzo raffigurante papa Sisto IV in atto di nominare l’umanista Bartolomeo Platina Prefetto della Biblioteca Apostolica. Per la prima volta questo capolavoro supremo uscirà dai Musei Vaticani. Si tratta di un evento del tutto eccezionale.

La scena rappresentata in quel dipinto è nota. In un ambiente di classica eleganza, aperto in fuga prospettica a rappresentare la profondità e la maestà dei sacri Palazzi, il grande intellettuale Platina riceve in ginocchio la nomina, attorniato da dignitari e prelati. Siamo nel 1475. Il papa Della Rovere, che fra qualche anno chiamerà i fiorentini e gli umbri (Ghirlandaio e Perugino, Botticelli e Signorelli) ad affrescare la Sistina, affida all’affresco di Melozzo il valore di un vero e proprio manifesto politico. E Melozzo per primo, con linguaggio raffinato ed elegante, erige la forma della pittura “vaticana”. La stessa che sarà in seguito soprattutto di Raffaello.

È l’alleanza fra la Chiesa e la Cultura che qui viene messa in figura. Tutto quello che accadrà dopo sotto il cielo di Roma – la cupola di San Pietro e il Belvedere di Bramante, Raffaello e Michelangelo in Vaticano, i cieli barocchi di Pietro da Cortona e del Baciccio, le fontane e gli obelischi nelle piazze, le biblioteche sterminate e i musei mirabili -, tutto quello che ha fatto la visibile immagine d’Italia, discende dalla lucida premessa che in quell’affresco celebre è significata.

Intorno all’affresco del Platina saranno collocati, provenienti dalla distrutta decorazione absidale della chiesa romana dei Santi Apostoli, dipinti tra i più cari all’immaginario artistico universale, vere e proprie icone di luminosa bellezza: gli Apostoli e gli Angeli musicanti, anch’essi di Melozzo. Di fronte a questi dipinti è possibile intendere – direbbe Longhi – la mutazione ultima subita dalla eredità di Piero della Francesca: la prospettiva che evolve e trasfigura in colorata scenografia, in alta retorica, in seduzione totale.

L’affresco del Platina e gli Angeli musicanti stringono in emblema il messaggio che abbiamo voluto affidare alla mostra forlivese dell’anno 2011. Come cioè, nel tempo che si colloca fra la metà del XV secolo e i primi anni del XVI, nel periodo storico che i manuali chiamano del “Rinascimento”, l’idea della Bellezza si sia incarnata nella gloria e nello splendore delle umane sembianze. E come il forlivese Melozzo sia stato, ai suoi giorni, testimone e alfiere di quella straordinaria vicenda.

Beato Angelico e Benozzo Gozzoli, Mantegna e Mino da Fiesole, Pietro Perugino e Donato Bramante, Piero della Francesca e il “divino” Raffaello con alcune delle loro opere più significative offriranno testimonianza, accanto a Melozzo, della stagione artistica più felice che abbia mai conosciuto la storia del nostro Paese. Una stagione destinata a fruttificare nel tempo a venire con Annibale Carracci, con Poussin, con Guido Reni, fino a Canova.

La Bellezza che si incarna nelle sembianze delle donne e degli uomini è gioia dei sensi, consolazione dell’anima, ombra di Dio sulla terra. Questo pensavano i grandi artisti che, sotto il segno di Melozzo, nella luce di Piero della Francesca e di Raffaello, troveranno ospitalità al San Domenico di Forlì.

Alla loro idea, ancora viva e attuale nel cuore e nella nostalgia di ognuno, abbiamo voluto rendere omaggio. Antonio Paolucci.

 

Forlì. Melozzo da Forlì Musei San Domenico 29 gennaio – 12 giugno 2011