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Restauro degli affreschi di Giotto

Pubblicato il da fondazione arte
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Si è concluso, dopo tre anni, il restauro degli affreschi nella Cappella di San Nicola della Basilica inferiore di Assisi. L’opinione di Bruno Zanardi sui problemi, critici e non solo, che questo intervento ha messo in evidenza.

 

Assisi. Dopo tre anni di lavori si è concluso il restauro degli affreschi di Giotto alla Cappella di San Nicola nella Basilica inferiore di Assisi. Restauro molto complesso, benissimo eseguito da Sergio Fusetti e i suoi; diretto daVittoria Garibaldi, soprintendente ai Beni culturali dell’Umbria fino a luglio 2011, è stato inaugurato dall’attuale soprintendente, Fabio De Chirico.

 

Resta però un fatto che questo ottimo restauro attesta anche la deriva presa dalle politiche ministeriali di tutela, deriva che pare purtroppo inarrestabile. Si parte dalla sostanzialeestromissione dell’Istituto centrale del restauro (Icr) dai lavori di Assisi, dove questi era presente in via esclusiva fin dal 1941/42, cioè dagli anni della sua inaugurazione. Estromissione che documenta il coma profondo in cui giace ormai da decenni questa già gloriosissima istituzione, quello attestato, facendo esempi recenti, dal completo fallimento culturale del restauro degli affreschi di Giotto agli Scrovegni (2002), dal restauro grossolanamente sbagliato della Vela di Cimabue nella Basilica di Assisi (2006), dal demente cambio di nome da Icr a Iscr (2007), fino allo sfratto dalla sede storica di piazza San Francesco da Paola (2010).

 

A questo, che non è poco, va aggiunta la scarsità di danari con cui il lavoro è stato finanziato. Il restauro è stato infatti reso possibile da una liberale elargizione della Fondazione della Cassa di Risparmio di Perugia, a cui se ne sarebbero dovute aggiungere altre, però mai arrivate; tanto da aver dovuto far giocare sugli affreschi con un pennello Patti Smith per invogliarla a mettere un po’ di soldi nel lavoro: nei fatti, chiedendole la carità. Ed è altro merito di Fusetti aver eseguito il restauro in pratica gratis. Ultimo, infine, il ritrovamento di un monogramma, «G B», interpretato come «Giotto Bondone», quindi subito detto la firma dell’immenso artista fiorentino. Ciò senza tener conto che le firme con monogrammi di dipinti (dipinti) antichi sono rarissime, se ce ne sono, che comunque mai Giotto firma così le sue opere e che, essendone l’autore, egli non aveva alcun bisogno di tracciare una firma «di nascosto», come fanno i turisti d’oggi. Quindi, con «G B» per «Giotto Bondone», siamo nel folklore mediatico a cui la storia dell’arte sempre più viene ridotta.

 

Circa invece i problemi critici sulla figura di Giotto che il restauro degli affreschi della cappella di San Nicola ha posto in evidenza, questi sono e restano sempre i soliti.

Chi erano in origine i committenti della Cappella raffigurati ai lati di Cristo. Perché e quando Giotto ha dovuto scalcinare, quindi distruggere, quelle due prime figure, sostituendole con le attuali di Gian Gaetano Orsini e san Nicola. Perché le figure dei cardinali ai lati dei committenti sono state cancellate. Perché gli affreschi sono stati realizzati in due distinte fasi, come attesta in via positiva la parete esterna alla Cappella. Perché il centinaio di stemmi Orsini, dipinti e scolpiti nella pietra, dentro e perfino fuori la Cappella. E come impattano questi affreschi, con ogni probabilità prima opera di Giotto nella chiesa inferiore, con il Ciclo francescano della chiesa superiore, che invece per mille motivi non può essere opera di Giotto.

Problemi, questi, di cui ci sarà tempo per riparlare.